L’emergenza da Covid-19 non poteva non impattare pesantemente sul principale presidio ospedaliero della città, l’Ospedale “Infermi” di Rimini. Non è certo la prima volta che i camici bianchi di questa struttura si sono trovati dinanzi ad un’epidemia. Nel recente passato ce ne sono state altre a preoccupare, che però hanno solamente sfiorato l’Italia: SARS-CoV, identificato in Cina nel 2002-2003 e MERS-CoV, identificato in Arabia Saudita nel 2012.
Ma quello che è accaduto tra febbraio e maggio di quest’anno con il nuovo Coronavirus (denomimato SARS-CoV-2 in quanto appartiene alla stessa famiglia di virus della Sindrome Respiratoria Acuta Grave – SARS, ma non è lo stesso virus) è indubbiamente senza precedenti.
Solo in Emilia Romagna dall’inizio dell’epidemia ai primi di settembre sono stati registrati oltre 33.700 casi di positività e più di 4 mila decessi. Le persone dichiarate guarite a tutti gli effetti (perché risultate negative in due test consecutivi) sono fortunatamente più di 25 mila.
Numeri che lasciano facilmente intuire quale sia stata la mole di lavoro che si è scaricata su tutti i presidi sanitari dell’Ausl Romagna, in particolare i Pronto Soccorso che inevitabilmente sono stati i principali punti di riferimento per le persone con sintomi o complicanze da Covid-19.
Che cosa sia successo esattamente in quei giorni, lo abbiamo chiesto al Dott. Vincenzo Domenichelli, Direttore dell’U.O. di Chirurgia Pediatrica dell’Ospedale di Rimini (foto) che nel corso dell’emergenza Covid è stato il Referente organizzativo per l’Azienda Usl della Romagna per l’attività chirurgica decentrata presso strutture private accreditate ambito di Rimini.
Dott. Domenichelli, quando vi siete resi conto della gravità della situazione?
Inizialmente abbiamo pensato che la questione potesse non toccarci, che sarebbe rimasta al di fuori dei confini nazionali come è successo in passato con la Sars e la Mers. Poi però man mano che passavano i giorni abbiamo iniziato a capire che stava succedendo qualcosa d’importante.
In che senso?
Improvvisamente abbiamo iniziato a ricevere decine e decine di persone al giorno che dovevano essere trattate. Per farlo è stato necessario aprire nuovi reparti. I primi due al DEA poi altri ancora. A quel punto ci siamo decisi. Abbiamo chiesto un incontro con la nostra Direzione. Questo anche su sollecitazione del collega il Dott. Francesco Agliano che è stato il primo a intuire che stava capitando qualcosa di grosso.
Che cosa avevate in mente?
Non sapevamo bene ancora cosa, di sicuro volevamo metterci a disposizione per dare un supporto. Nel momento in cui c’è stata l’ondata di Covid e sono stati aperti nuovi reparti, è chiaro che in quel momento si sono dovute recuperare risorse infermieristiche e mediche ovunque fossero possibili. Chiunque avesse la qualifica di medico è stato coinvolto. Nel giro di poco qui in ospedale tutti i reparti avevano sostanzialmente chiuso. Eccetto ovviamente il Pronto Soccorso e i reparti in cui si trovavano i pazienti in fase critica e non potevano essere dimessi.
Quando ha preso contatti con Villa Maria?
I primi contatti informali sono stati con il Dott. Vittorio Corso che conoscevo già perché qui in ospedale abbiamo lavorato assieme. Sapevo quindi che in qualche modo c’era da parte di Villa Maria la disponibilità a supportarci nel gestire l’emergenza. Poi è arrivato l’Accordo regionale, a quel punto abbiamo iniziato a organizzare e strutturare l’attività.
In che modo?
Il mio principale compito è stato fare in modo che ogni realtà esterna all’Infermi di Rimini fosse una sorta di nostra propaggine (una sorta di modello hub & spoke, ndr) e che il paziente inviato fosse trattato in maniera uniforme, nel rispetto delle nostre procedure.
Un lavoro non da poco.
Sì, però devo dire che in tutto questo sono stato agevolato da quelle che sono le mie attività qui in reparto. A Rimini abbiamo l’unica Chirurgia Pediatrica di Area Vasta Romagna e da tantissimi anni organizzo le attività chirurgiche anche negli altri presidi. In un certo senso sono abituato: sono itinerante e organizzare con spostamenti continui è cosa di tutti i giorni.
Come è andata con Villa Maria?
Devo dire che non la conoscevo. La percezione, prima di questa esperienza, è che fosse una nostra concorrente. Ma mi sono dovuto ricredere. L’emergenza ha creato la necessità di una collaborazione. Ed è incredibile quello che è successo. L’empatia tra i nostri chirurghi e la struttura è stata magica: ci siamo trovati subito senza mai esserci conosciuti prima.
Un esempio?
Nello svolgere l’attività di coordinamento, è stato necessario reperire materiali e strumentazioni idonee visto che, sostanzialmente, Villa Maria avrebbe fatto quasi tutta la nostra chirurgia. Nelle Direzioni di Villa Maria e in tutto il personale abbiamo trovato una disponibilità che è andata ben oltre la collaborazione definita dagli accordi. Siamo stati assecondati in tutto.
Che conclusioni ha tratto?
Durante l’emergenza è stato tutto rapido e stressante. Adesso posso dire con certezza che Villa Maria ha dimostrato di essere veramente una risorsa. Tutti noi, in particolare i colleghi chirurghi che a Villa Maria hanno operato, mi hanno riportato commenti estremamente positivi sia per quanto accaduto dal punto di vista umano sia per quello tecnico professionale. C’è stato davvero un grande aiuto o, meglio ancora, c’è stata una specie di mutuo soccorso tra di noi.
Cosa le piacerebbe che succedesse alla luce di questa esperienza?
Secondo me bisognerebbe continuare a restare uniti. Dopo una collaborazione così produttiva si dovrebbe togliere la parola “competizione”. Non sono certo io quello che deve dare delle indicazioni. Non sono un direttore generale o un direttore sanitario. Ad ogni modo voglio sottolineare con chiarezza che l’esperienza è stata molto positiva.
Foto: Ufficio Stampa Villa Maria Rimini (ph.D.Chiericozzi)
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